sabato 27 agosto 2016

Il galata morente e il galata suicida


Le opere oggi esposte ai Musei Capitolini (Galata morente) e al Museo Nazionale Romano (Galata suicida) sono la copia romana di un originale greco, forse bronzeo, commissionato per l’Acropoli di Pergamo da Attalo I che vinse nella guerra contro i Galati, nome con cui i Greci chiamavano i Celti. I galati (il termine in greco significa "barbari") erano popolazioni di origine celtica che emigrarono in Asia minore. I galati, intorno al 240 a.C., attaccarono la città di Pergamo, ma questa uscì vittoriosa dallo scontro, e celebrarono la vittoria con alcune opere d’arte.
Il perno centrale del monumento era rappresentato dal gruppo del galata che si suicida dopo aver ammazzato la moglie. Il gruppo è tutto incentrato sul contrasto tra l’elemento lineare, costituito dal galata che si suicida infilandosi la spada nel torace dall’alto, e le linee curve della moglie già deceduta. L’uomo vinto, raffigurato accasciato, presenta i tratti somatici e i baffi tipici delle popolazioni galliche. L’opera venne probabilmente ritrovata nel XVII secolo nel corso dei lavori per la Villa Ludovisi. Fu tra le opere che Napoleone portò a Parigi nel 1797, ma tornò dopo la caduta dell’impero nel 1815.
Il Galata ferito e morente indossa il tòrques, collare di metallo tipico delle popolazioni galliche, giace sul suo scudo. La sua posizione è "quasi" distesa, ma proprio in quel "quasi" si avverte tutta la drammaticità di chi sa di trovarsi a quel traguardo finale dal quale non si può far ritorno. La scultura è stata pensata essenzialmente per essere osservata frontalmente: il braccio destro esprime l'estremo tentativo dell'uomo, mortalmente ferito, di risollevarsi, mentre la testa è reclinata in un espressione di grande sforzo.
Il Galata suicida invece esprime un forte dinamismo ed è stato concepito per essere osservato in tutta la sua interezza: le gambe divaricate consentono l'equilibro della statua che si avvita su sè stessa con una forte torsione del busto. Con il braccio destro si trafigge nella zona delle clavicole, con quello sinistro sorregge la compagna che ha ormai abbandonato la vita terrena.

Non si conosce esattamente l'identità dell'artista che realizzò l'opera: si ritiene si tratti di Epigono, lo scultore di corte della dinastia dei sovrani di Pergamo.